scritto dentro

performance site specific

riscrittura scenica voci azioni Pierangela Allegro
musica video pittura digitale Michele Sambin
da Scritto dentro di Fernando Marchiori

Questo è il testo che Pierangela Allegro ha scritto per presentare il nuovo lavoro.

Il 13 settembre per il Festival relAzione Urbana abbiamo presentato scritto dentro, un lavoro liberamente tratto dal libro omonimo di Fernando Marchiori (Poiesis editrice, 2012).
Michele Sambin ed io aggiungiamo, con questo nuovo atto, un altro segno alla ricerca e al percorso arte/vita iniziato più di trenta anni fa. Solo un piccolo numero di persone è potuto scendere all'interno dello spazio suggestivo del Bastione Impossibile. Per un tempo di circa 50 minuti ha percepito i nostri atti visivi e sonori srotolarsi sotto i suoi occhi.
Non è un lavoro “facile” scritto dentro, come d'altronde non lo è il libro di Marchiori da cui è tratto. Sono scritture (una su carta, l’altra sulla scena) che chiedono al lettore e allo spettatore di scendere sotto, sentire una voce di dentro, farsi prendere nel tracciato di una memoria estranea... Anche per questo lo spazio che abbiamo scelto per il debutto è stato quello del Bastione più aspro, umido, difficile all'interno delle Mura che circondano l'antica Padova.
Eppure ciò che scorre sotto lo sguardo di uno spettatore accorto non è solo l'autobiografia di chi si espone, ma è una storia che, pur nelle differenze, parla di un sentire comune. A una generazione almeno. Quella che ha avuto un motivo per andarsene, e diversi modi per farlo.

La figura cominciò a dubitare che nel guardare potesse vedere
guardando ricordava.
A una giusta distanza chi guardava nello sguardo della figura
poteva vedersi
preso dentro il tracciato di una memoria estranea.

scritto dentro è una riflessione sul tempo.
Tra memoria e ricordo - temi centrali del lavoro - si sviluppa sulla scena una tensione tutta al presente che sperimenta il dialogo in tempo reale tra un corpo che si espone e un altro che dipinge, tra la traccia luminosa del performer e il corpo della luce attiva. Lasciando ampia libertà di intervento all'imprevisto e alle coincidenze fortuite, si è trattato – ancora una volta – di unire rigore e casualità in un intreccio fecondo, possibile solo grazie al lungo sodalizio dei due artefici.
Michele Sambin traccia linee luminose a partire dal mio corpo seduto o in piedi, mentre si alza e va verso, mentre agisce o contempla. A volte mi segue, altre volte sono io che anticipo i suoi segni. Avviene tra noi due sulla scena un dialogo senza parole. Le tracce che restano sono linee che si sovrappongono non sono contorno, non sono tracciato o confine. È materia di luce. Si tratta di una qualità pittorica che prende il posto del corpo e al tempo stesso gli dà sostanza. Lo trasforma. Una trasformazione in cui slittamenti e stratificazioni, distacchi e fusioni, si compiono dal vivo sotto lo sguardo dello spettatore.

Una figura
né uomo né donna
né vecchia né giovane
né viva né morta
spaesata
cerca un contatto con la memoria
la sua
tenta di rimettere ordine
i ricordi in visioni
in parole
non si sa se gli riesce
tentare è fallire
tentare ancora
fallire ancora
eppure tenta una ricostruzione
una ricomposizione
si stacca da sé
vi aderisce di nuovo
le cose non tornano mai
traccia attorno a sé un recinto
dove stare in pace
dove
fallire meglio.
Il tempo
quello di dentro
non è una linea
procede a salti
prima o dopo si confondono
i tempi attraversati
racchiusi in eventi memorie desideri in
una figura.

In scritto dentro emerge una memoria che raccoglie dati, prove, va nei dettagli, cancella, salta, taglia via.
Ma c'è anche un ricordo sobrio, fatto di sottrazioni, che rinuncia a quasi tutto e si concentra su pochissimi fatti.

La scrittura di Fernando Marchiori ha il dono di dire quanto basta e neanche una frase di troppo.
La mia riscrittura come il gesto dello scultore ha tolto ancora. E ancora. E ancora.
Da questo togliere strato su strato sono emerse spontaneamente altre parole che, messe in contrappunto con quelle di Marchiori, si innestano nella partitura creando un'apertura ulteriore e a tratti indispensabile. Grazie a Samuel Beckett e Alberto Giacometti.


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